Montevecchia, rilancio del vino. Sfida vincente per 19 produttori

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Montevecchia

Celebrati da Carlo Porta nel «Brindisi di meneghino all’osteria» del 1810, citati otto anni dopo da Stendhal nel «Voyage dans la Brianza», i vini di Montevecchia hanno rischiato di sparire dalle nostre tavole dopo la filossera che decimò le vigne tra il 1860 e 1870. Se così non è stato è per la determinazione dei vignaioli del posto che negli ultimi trent’anni hanno fermato l’avanzamento dei boschi e ricominciato a lavorare nei vigneti su crinali terrazzati, esposti a quelle escursioni termiche che sono il segreto dell'intenso profumo dei calici.

Oggi i diciannove produttori, 
riuniti nel consorzio Igt «Terre Lariane», producono Montevecchia 200 mila bottiglie l'anno. Tra loro c’è l’azienda agricola La Costa, nata nel 1992 quando Giordano Crippa decise che cascina Scarpata, nel parco naturale di Montevecchia, non poteva restare in uno stato di totale decadenza. «Abbiamo ripreso subito la coltivazione delle vigne — spiega la figlia Claudia, 38 anni, enologa — ma solo nel 2000 abbiamo avuto la prima vera vendemmia». Oggi La Costa conta su 8 ettari di vigneti e una produzione di 40 mila bottiglie, destinate a diventare 60 mila nei prossimi anni.

I loro vini arrivano in Giappone, ma il mercato è principalmente quello legato ai ristoranti e alle enoteche della zona. Nei nomi scelti c’è tutto l'amore per il territorio: così «Il Brigante» deriva da Brig che significava «colle» ed è per molti l’origine del toponimo «Brianza». Mentre il Serìt è un omaggio al serizzo, la pietra utilizzata per le dimore nobiliari della zona e presente in massi d’epoca glaciale anche vicino alle vigne. (Ro. Re.)