Quel castello in rovina dimenticato a Milano

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Il gioiello di Ludovico il Moro a Cusago. In passato tra i suoi proprietari c'è stato anche Berlusconi.
«Senza la ripresa niente restauri»


L'articolo è tratto dal <<Corriere della Sera>> del 17 ottobre 2011


MILANO — Crescono perfino gli alberi, sulla torre del castello di Ludovico il Moro a Cusago. Ma da Milano, la «capitale morale d'Italia» che sta a un tiro di schioppo, non lo vedono, il degrado che sta sgretolando l'antica e maestosa residenza. Niente «danèe», niente restauro. Ha tenuto duro mezzo millennio, tenga duro ancora finché non arriverà (auguri) la ripresa...


C'è chi dirà che è tutta «colpa» dell'abbondanza di opere d'arte, di monumenti, di borghi medievali di cui il nostro Paese può menare vanto.


Certo, tanti Paesi se lo sognano, un castello come quello, edificato da Bernabò Visconti tra il 1360 e il 1369, sui resti di una fortificazione longobarda, a una dozzina di chilometri in linea d'aria da piazza Duomo. E se lo avessero lo curerebbero con amore. Ma come possiamo, noi italiani, badare a tutte le nostre ricchezze? Lo diceva già, diversi anni fa, Alberto Ronchey ricordando, nel libro-intervista «Fattore R» con Pierluigi Battista, che da altre parti è più facile gestire tre o quattro grandi musei e una decina di città d'arte. Solo da noi si possono «trovare tante opere d'arte, una sedimentazione stratificata per ventotto secoli. Dall'VIII secolo a. C. ai tempi nostri, non si ricorda         un'era che non abbia lasciato la propria eredità in Italia: Etruschi, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanno Svevi, Medioevo comunale, Rinascimento, Barocco, Neo-classicismo fino al Modernismo». E un patrimonio straordinario, ma anche un problema.


Ma non è uno dei tanti, quel castel­lo. Come ricorda nel libro (in via di pubblicazione) Castelli fratelli Simo­na Borgatti, che da anni si batte con un comitato di volontari per salvarlo, l'edificio è un pezzo della storia milanese. Fin da quando fu costruito perché i Vi-sconti e poi gli Sforza potessero godere di quella splendida «riserva di caccia di-stesa su un territorio che andava da Milano a Vigevano tra boschi, risorgive e fontanili». Un paradiso terrestre per rag­giungere il quale Filippo Maria, diventato troppo grasso per andare a cavallo a causa degli eccessi a tavola, «si fece scavare un ampio canale, il "Naviglietto", derivandolo dal Naviglio Grande all'altezza di Gaggiano. Su questo canale la corte poteva agevolmente arrivare a Cusago dalle altre sedi ducali, come Abbiategrasso». In barca.


Scelto come rifugio durante la peste del 1398 e poi adibito a lazzaretto, il castello «tornò a nuovo splendore nel 148o con Ludovico Sforza detto il Moro, che diede a Cusaghino l'aspetto di "una villa di delizie", una residenza dove potersi "mettere in libertà" e dimenticare per un momento gli affanni legati al governo del Ducato per dedicarsi alle feste, alla caccia, alla pesca e alle amanti».


Donato da Ludovico alla moglie Beatrice d'Este e passato successivamente a Lucia Marliani, una delle favorite del Moro, il castello finì più tardi nelle mani del conte Massimiliano Stampa. E giù giù, di eredità in eredità, nel patrimonio dei Casati-Stampa. Per essere acquistato infine nel 1973, insieme con la villa di Arcore, dall'astro nascente dell'inchiesta «Parco Sud» sulle infiltrazioni nel sud-ovest milanese della 'ndrangheta.


«Noi non possiamo fare niente — dice il sindaco Daniela Pallazzoli —. Le casse del Comune non sono assolutamente in grado di farsi carico dell'acquisto e del restauro. E di questi tempi di magra mi pare difficile che se ne occupino lo Stato o la Regione. L'unica speranza è che possa passare l'idea di coinvolgere i privati e far rivivere il castello facendo-ne ad esempio una Università del gusto. Un centro congressi. Una foresteria di eccellenza a tre chilometri dall'Expo 2015». Il guaio è, spiega, che «non si possono affrontare questi problemi sulla base di un Regio Decreto del 1912. Per capirci, ogni ipotesi alberghiera è legata all'obbligo di mettere gli impianti a norma, fare i bagni, aprire nuove finestre... Noi ci teniamo al pieno rispetto del castello, però...». Anche alla Soprintendenza lo sanno. Cosa fare? Lasciare che il castello in mano ai privati e oggi impossibile da comprare con i soldi pubblici venga divorato dal degrado? O consentire che, come male minore, sia parzialmente modificato da interventi che consentano ai proprietari di rientrare dagli investimenti?


L' architetto Alberto Artioli, soprintendente per i Beni architettonici e paesaggistici, sospira: «È un problema col quale abbiamo a che fare tutti i giorni. Ma non è vero che siamo barricati nella trincea del "non si tocca niente". Se c' è la buona volontà di trovare una soluzione saggia, noi siamo qua. Basta fare le cose con buon senso...». Presto, però. Occorre fare presto. Un nuovo inverno si avvicina. La vegetazione, dopo avere sbranato le impalcature tirate su anni fa per la messa in sicurezza, sta attaccando i muri. Tra le capriate dei tetti si sono aperti squarci che, con le piogge e la neve, sono destinati a spalancarsi e crollare. Le bellissime finestre sono ogni giorno più sgangherate. Le erbacce hanno ormai attaccato non solo il cortile ma la pavimentazione interna. E gli alberi sulla torretta continuano a crescere, crescere, crescere... Gian Antonio Stella