Gli obbiettivi degli attentati "scelti sui depliant"

Versione stampabileSegnala a un amico
Categorie: 

Tinebra polemico con i giudici di Firenze e Palermo. Nuova guerra di mafia dopo l'ultimo delitto.
Brusca: «Le bombe a Firenze e Roma? Abbiamo guardato le guide»
L'articolo, di Dino Martirano, è del 1° Settembre 1996

PALERMO. Giovanni Brusca è già stato «tastato» sull'argomento ma la risposta che ha dato la dice lunga sulle sue reali intenzioni da aspirante pentito. Chi indicò a Cosa nostra gli obiettivi delle autobombe del '93? Chi tirò fuori il piano raffinatissimo per colpire chiese e opere d'arte oltre i confini della Sicilia? E tutta farina del nostro sacco, ha risposto il boss di San Giuseppe Jato. Che ha aggiunto: San Giorgio al Velabro, e gli Uffizi li abbiamo trovati per caso Consultando guide e depliant turistici? Gioca dunque al ribasso il padrino che ora tenta di accreditare la mafia come un'organizzazione allo sbando, e pure senza capi. Figuriamoci se indica i suggeritori esterni all'organizzazione.

Sulle stragi del '93, Brusca vende le sue verità da agenzia di viaggi e si scrolla di dosso tutte le responsabilità direttive: la campagna a colpi di tritolo, per lui, è il frutto solo di una pazzia estemporanea di Leoluca Bagarella, il cognato Totò Riina. Ma i magistrati di Firenze, Palermo e Caltanissetta non credono a una sola parola della ricostruzione fatta tal «dichiarante» di San Giuseppe Jato. Anzi, sembra che a questo punto siano decisamente delusi.

Martedì prossimo, con la ripresa degli interrogatori, con Brusca riprende il discorso sui suggeritori delle bombe del 93. E il boss dovrà confrontarsi con la monumentale inchiesta poi concentrata a Firenze e magari con lo scenario descritto dal pentito Salvatore Cari nella primavera del '94.

A partire da Capaci e da via D'Amelio, le stragi costituiscono una strategia continua. Escludo però che gli obiettivi di Firenze, Roma e Milano siano stati scelti da Cosa nostra che non ha la mente per scegliere gli Uffizi.

Un'interpretazione, questa, confermata anche dal pentito Antonio Scarano che parla dei «contatti» avuti dalla mafia prima di scatenare la stagione delle bombe.

C'è dunque la convinzione che la mafia abbia agito su un input esterno. Ma Brusca, almeno per ora, non parla. Tira in ballo i dépliant turistici anche perchè c'è un altro scenario descritto da un pentito a luglio del '95: il collaboratore ha raccontato che Antonino Gioè (uno degli esecutori dell'attentato di Capaci, poi suicidatosi a Rebibbia nell'agosto del '93) disse di essere stato avvicinato da un personaggio messo in moto da un maresciallo dei carabinieri a sua volta incaricato di recuperare opere d'arte trafugate dalla pinacoteca di Modena.

Questa è la storia di una trattativa del '92, mai andata in porto: quadri famosi in cambio degli arresti domiciliari per Pippo Calò, Luciano Liggio e Bernardo Brusca (il padre di Giovanni). Gioè, che parlò anche di un possibile attentato alla Torre di Pisa, rivelò al suo interlocutore: «Secondo loro colpire una persona aveva un effetto limitato rispetto a quello che avrebbe accompagnato obiettivi come le opere d'arte.»

Una strategia poi realizzata con ben 600 chili di esplosivo. Possibile che Brusca non sappia nulla.
Il lavoro delle tre procure continua in parallelo con interrogatori condotti almeno da un magistrato di Firenze, uno di Palermo e uno di Caltanissetta. E dopo una settimana, Giovanni Tinebra in vita i colleghi a «tenere la bocca chiusa». Il procurator , però, una sua valutazione la dà quando da microfoni del Gr1 gli chiedono se Ganci (l'ex avvocato di Brusca) è una vittima della strategia del boss che aveva inventato il complotto contro Violante: «Nei limiti in cui lui pensava che l'episodio fosse vero penso di poter dire di sì».

A Palermo, intanto, si cerca di decifrare l'ultimo delitto di mafia. L'assassinio di Giovanni Giuseppe Caffrì, l'uomo di Brusca ucciso l'altra sera ad Altofonte, riserva ancora diverse letture. Secondo i carabinieri di Monreale non si può parlare di vendetta trasversale contro i boss corleonesi. Ma le parentele di Caffrì? Francesco Di Carlo, estradato recentemente dall'Inghilterra e sospettato di essere addirittura l'uomo che uccise Roberto Calvi a Londra, e Benedetto Capizzi della Cosca di Santa Maria del Gesù aprono scenari inquietanti.

Sta per iniziare una nuova guerra di mafia? Gli analisti degli affari interni a Cosa nostra vedono dietro tutto questo l'inizio della fine dei corleonesi ormai in ritirata davanti alla mafia palermitana. Quella guidata dal superlatitante Pietro Aglieri.