Il sorriso dell'onda

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Quel labile segno di comunicazione tra la natura e l'uomo

Non consideriamo mai abbastanza quanto il nobile milanese Francesco MELZI – erede, allievo, segretario e compagno di avventure esistenziali di Leonardo – influì sulla conoscenza della sua opera – soprattutto per il quasi cinquant’anni di lavoro – mezzo secolo! – seguiti alla morte del maestro, durante i quali, tra la comprensibile gelosia e fastidio della moglie e dei figli, interpretò, sistemò e conservò per noi, in vari codici, l’immensa congerie di disegni e appunti del Maestro.
Lo conobbe quand’era ancora giovanissimo, tra il 1506/7 e più tardi, quando dal 1510 al 1513 i Melzi l’ospitarono nella villa di VAPRIO D’ADDA.

Leonardo gli insegnò a dipingere, cominciando dal grande affresco della Madonna col Bambino, visibile dalla strada sottostante, i cui volti assomigliano tanto a quelli del cartone preparatorio per il gruppo della S. Anna.

 

Quella pittura affascinò tanto il giovane da convincerlo a farsi allievo di Leonardo, malgrado l’opposizione del padre, e nel 1513 partire con lui per Roma, alla corte di Leone X il cui fratello era Giuliano de’ Medici, il nuovo protettore di Leonardo.
Ma certo in quei tre anni a Vaprio, come pure nei più brevi soggiorni precedenti, la principale cura di Leonardo, accompagnato dal giovane allievo, fu l’osservazione dei dintorni per la sistemazione del canale parallelo all’Adda.

Anni prima gli Sforza avevano proseguito le opere difensive al Castello di Trezzo, massimo baluardo militare ai confini tra ducato di Milano e terre della Serenissima, già iniziate a metà 1300 da BERNABO’ VISCONTI.

Il fortilizio era collegato da tunnel sotterranei con i castelli di BRIVIO verso nord e CASSANO a sud – quindi al Castello di Milano (con vie parzialmente in superficie). A metà strada circa tra Cassano e Trezzo, il Castello Visconteo di Vaprio, per cui Leonardo progetta modifiche tra palazzo Melzi e la torre.

Tratto da Nei parchi con Leonardo, Provincia di Milano

Si trattava probabilmente di lavori utili ai nuovi governanti, più che all’estetica della Villa. Infatti, molti dei passaggi sotterranei perfezionati da Leonardo ai tempi del Moro erano stati fatti saltare e occlusi dopo la disfatta.
Addirittura, la notte del l1° febbraio del 1500, il milanese LUIGI DA PORTO era passato dai francesi ai ribelli, aprendo le bocche del fossato al Castello e allagando i sotterranei con tutti i viveri stipativi. L’acqua attraverso i cunicoli era giunta fino a S. Maria delle Grazie allagando il Cenacolo e mettendo a rischio l’opera di Leonardo.

Possiamo immaginare quanto egli fosse felice di trascorrere questi anni di destabilizzazione in un luogo suggestivo come le rive dell’Adda, dove già aveva ambientato la prima grande opera milanese, la VERGINE DELLE ROCCE.

    

La vista dalla terrazza di Palazzo Melzi è strepitosa, tale da emozionare per la maestosità del fiume Adda, il quarto per grandezza in Italia, e i mutevoli riflessi della luce sull’acqua.

All’epoca Leonardo aveva già impostato il ritratto della Gioconda. Ritengo che quel nome si sia ancorato nella sua anima come “GIOCO DELL’ONDA” anche per i momenti di pace, afflato cosmico, serenità, quasi una palingenesi, offertagli in un momento di sofferenza morale e materiale dopo lo sfascio del ducato a opera dei francesi.
Consideriamo che l’elemento acqua possiede infinite possibilità di suggerire espressioni di ogni tipo, come hanno sempre saputo gli artisti, Monet in primis.


[Foto tratte da Io Donna, 31/3/12]

Il paesaggio a lato sinistra della Gioconda è proprio quello dell’Adda. E sulla destra, la più importante cripto immagine (figurazioni d’ombra tipiche di Leonardo) sembra mascherare proprio il ritratto di Francesco, sotto l’aspra barba e i riflessi “depistanti”.
Ci fu forse un patto segreto tra i due pittori e compagni di esperienze, tanto da farli divenire “amici per la pelle” e per la vita?

Certo, come si sa, il Melzi restò con il maestro, anche nella malattia e dopo la sua morte per un gigantesco lavoro di interpretazione/immedesimazione della sua opera.

Il quadro della Gioconda non fu consegnato all’iniziale ispiratrice fiorentina – Leonardo e Francesco furono ospitati dal 1516 presso il Castello di Cloux (Amboise) dal re di Francia, cui probabilmente era già stato promesso il quadro. Infatti, esaminando con una lente di ingrandimento le buone riproduzioni disponibili, si possono notare cifre incolonnate e firme, il che può avere una sola spiegazione: anticipi “in conto” di chi alla fine avrà l’opera, pare per 4.000 scudi.

Nel frattempo, Leonardo ritoccava continuamente quella immagine. La fiorente borghese sposa d’un commerciante – sotto le vernici “olio et erbe” (papa Leone X come ricorda il Vasari, le stigmatizzò in un gustoso aneddoto) che ne scurivano e affinavano il volto, lentamente cambiava.

Forse, inconsciamente, gli occhi di Gioconda diventavano quelli di Francesco cui Leonardo doveva tanto, fin da quando gli aveva scritto, in uno dei momenti più neri della sua vita, affinché lo raccomandasse al governatore di Milano per il pagamento del suo lavoro a S. Cristoforo-Olona. E Francesco, pur ancora quasi fanciullo, si era prodigato per lui. Come più tardi, quando divenne per lui il braccio destro, che gli si era paralizzato per il progredire della malattia. Fino a dedicargli la vita affinché il mondo conoscesse davvero la grandezza del suo spirito e del suo genio.