Il ventre di Napoli

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Al Rione Sanità un gruppo di ragazzi tutela un vero tesoro archeologico

L'articolo di Paolo Di Paolo è tratto da <<L'Unità>> del 29 agosto 2013

Il quartiere è quello raccontato anche da una famosa commedia di Eduardo: la storia di un “sindaco” alle prese con un’idea di giustizia molto personale. «Al primo colpo d'occhio» dice Giovanni Maraviglia, «si nota parecchio il caos, spesso anche la sporcizia, ma il Rione Sanità può rivelarsi, a conoscerlo meglio, un'autentica sorpresa: conserva una genuinità e un senso di accoglienza che altrove non è così semplice trovare». Giovanni vive nel quartiere («anche se non ci sono nato, ho messo radici qui») ed è uno dei protagonisti dell'avventura che ha dato negli ultimi anni una scossa più che benefica alla zona.

 

E presidente della cooperativa sociale «La Paranza», nata nel 2006 su spinta del parroco don Antonio Loffredo, impegnato da anni sul territorio. Don Antonio ha raccontato la sua esperienza con i ragazzi del Rione in un libro recente, Noi del Rione Sanità, pubblicato da Mondadori: «E un uomo geniale e generoso» dice Giovanni, «io sono cresciuto con lui, mi ha aperto la mente e grazie a lui ho potuto veder nascere a Napoli una serie di iniziative dai risultati eccezionali».

Nel suo libro, don Antonio, a proposito del Rione, scrive: «Questo è il luogo dove si conservano le tradizioni, la veracità del popolo napoletano, le origini di tutte le sue caratterizzazioni. E un coacervo delle sue qualità e delle sue disgrazie. In questi vicoli scorre linfa vitale mista a veleno. La cultura sposa la miseria, la storia blandisce la disperazione, la speranza trascolora nella rassegnazione. Da queste parti si dice "Arò, fa notte, fa juorno", dove cala la notte spunta il giorno, per descrivere l'immutabilità, la paralisi, l'assenza di cambiamento. Mi piace pensare, tuttavia, che questo detto indichi pure il persistere della speranza, perché dopo il buio viene sempre la luce, e 'a nuttata di eduardiana memoria, prima o poi, passa».

La cooperativa «La Paranza» è una di queste occasioni di speranza: ragazze e ragazzi del Rione che si danno da fare per alimentare un progetto culturale coraggioso. «In questo quartiere, che è un po' tagliato fuori dal centro cittadino - racconta Maraviglia - trovano patrimoni archeologici e artistici di grande valore». I ventenni della cooperativa si occupano della valorizzazione di un ampio sito catacombale: tracce di una storia sotterranea che va dal II al IX secolo - affreschi e mosaici di grande bellezza. San Severo, San Gaudioso, San Gennaro - le maestose basiliche e i tesori nascosti sotto terra. Nelle catacombe di San Gennaro, per esempio, si può visitare una vera e propria basilica sotterranea a tre navate, che conserva numerosi affreschi databili fra il V e il VI secolo dopo Cristo ed è scavata interamente nel tufo.

«Prima del nostro lavoro - spiega Maraviglia - i visitatori del sito erano circa cinquemila in un anno. Oggi sono 35mila. Si può accedere ogni giorno e c'è una visita guidata ogni ora. Organizziamo anche itinerari e passeggiate di tre ore per far conoscere i palazzi storici del Rione. Sette dei ragazzi della cooperativa sono stati assunti a tempo indeterminato». Chi l'ha detto che la cultura non crea posti di lavoro? «E forte anche l'effetto "contagio": sta nascendo una rete di nuove cooperative, come per esempio l'Officina dei Talenti, che si occupa della manutenzione del sito catacombale e ha creato un impianto elettrico all'interno; e poi associazioni culturali e anche singoli cittadini partecipano, danno supporto, lanciano idee».

 

Nel suo libro don Antonio racconta che due anni fa, grazie a una consistente donazione dei Giovani imprenditori dell'Unione industriali di Napoli, si è potuto recuperare e restaurare l'affresco della tomba di Cerula, «una donna che nella Chiesa antica probabilmente occupava una posizione di riguardo»: «Questo sepolcro - scrive Loffredo - fu scoperto nel 1977 da don Nicola Ciavolino professore di archeologia cristiana alla facoltàdi Teologia di Napoli e appassionato studioso, che ebbi la fortuna di avere come docente. E stato grazie a lui che ho "incontrato" le catacombe napoletane per la prima volta».

Le attività dei ragazzi del Rione sono tante e non hanno a che fare solo con l'archeologia: c'è la casa di accoglienza religiosa del Monacone (un designer napoletano, Riccardo Dalisi, insieme ai giovani della «Paranza», ha progettato e riallestito gli spazi un tempo destinati ai frati); si organizzano corsi di recupero scolastico per ragazzi in difficoltà e corsi di teatro. Un progetto in corso è quello di replicare i successi della Paranza nei quartieri spagnoli: «Speriamo di riuscire a ristrutturare uno storico convento dei padri vincenziani, sotto la collina di San Martino, che è uno dei pochi polmoni verdi rimasti in città. La bellezza del paesaggio offre l'opportunità di avviare attività turistiche e di ristorazione in cui coinvolgere i ragazzi della zona». Perché il punto è questo, dice Giovanni: rimboccarsi le maniche e non rinunciare a un'idea di futuro. Non rinunciare a Napoli: «Spesso in questa città capita di sentirsi un po' abbandonati, quando le istituzioni o le forze pubbliche latitano, ma la rete sociale può essere più forte delle difficoltà».