Gigi Pedroli, il cantastorie del Naviglio

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Il ricordo. Compirà 79 anni a marzo e a Natale festeggerò i 35 anni del suo centro incisioni d'arte
Pittore geniale, ha scritto brani di personaggi mitici come "El barun" e "El cartonista".
L'articolo di Franco Presicci è tratto da <<Il Giorno>> del 26 settembre 2010




A NATALE festeggerà i 35 anni del suo Centro Incisioni d'Arte sul Naviglio Grande. E probabilmente ci saranno anche i suoi amici di sempre: compresi l'attore comico Francesco Salvi, che a vent'anni era già al Derby, tra Cochi e Renato, Diego Abatantuono e Walter Valdi; e Nanni Svampa il cantastorie dei Gufi. Anche lui, Gigi Pedroli, 79 anni a marzo, il padrone di casa, pittore e acquafortista egregio che piace tanto ai critici consacrati, oltre a interpretare attraverso rappresentazioni fantastiche il mondo che gli gira attorno, è a suo modo un cantastorie. I suoi brani, molti dei quali raccolti in un cd e un paio, «Lombardia», in un long-playing di Svampa, parlano soprattutto di personaggi che hanno abitato sul Naviglio Grande o sul Pavese: il barbone Sauro; Adamo, che tracannava barbera dalla mattina alla sera; «El barun»; «El conte»; «La mundina», «La vegia usteria»; «El cartonista», che fu coinvolto senza colpa in un caso di omicidio: raccogliendo cartoni per strada trovò in uno scatolone un cadavere. Si mise a gridare, ma nessuno lo ascoltò. Arrivò la Volante e se lo portò in questura, dove venne interrogato per ore come fosse un «baloss».


PEDROLI SA tutto della vita che scorre sul Naviglio, questa via d'acqua «silente... tranquilla...con odore di terra, di carreggiate», che incantava il poeta Alfonso Gatto. E la descrive con amore. Gli piace raccontare, par-tendo dalla sua adolescenza, trascorsa però nella casa dei tranvieri (lo era il nonno), in via San Bernardo.

«Eravamo sempre a piedi nudi e andavamo fino a Roserio per fare il bagno nei fossi che portavano l'acqua alle risaie. Riempivamo di stucco le agrette, i tappi delle bottiglie di gazzosa, e giocavamo al giro d'Italia, disegnando con il gesso lo Stivale sul catrame della via». Giocavano anche al «lupo»: «Facevamo cinque buche in terra e le riempivano di figurine. Poi a turno lanciavamo una biglia di ferro, che a chi centrava un obiettivo dava il diritto di prendersi tutto ciò che conteneva».

Scoppiò la guerra e per noi ragazzi la sirena significava non andare a scuola. Poi nel '43 caddero le bombe anche sulla casa dei tranvieri, dove al centro c'era una grande doccia con l'acqua riscaldata a carbone. Fu il suo enorme fumaiolo a tradirla: dall'alto sembrò una fabbrica». Già allora in Gigi si manifestava la vena artistica. Tra i banchi delle medie disegnava bene. A vent'anni si iscrisse alla scuola d'arte serale del Castello, lavorando in uno studio pubblicitario. Poi cominciò a maneggiare pennelli e colori e aprì l'atelier sul Naviglio.

«Gli studi costavano poco, allora, perciò erano molto richiesti, anche dai meridionali che, sognando un lavoro, venivano a Milano a cercarlo lavoro. Correvano gli anni Settanta e c'era tanta voglia di cantare in dialetto meneghino. «Frequentavo le osterie: il «13», per esempio. Lì il Pinza e Nino Rossi intonavano le loro ballate. Io già strimpellavo la chitarra e, conoscendo bene il vernacolo, schitarrando m'ispiravo a prostitute, all'albergo popolare di viale Ortles; al «culesiunista». Per ascoltare Gigi cantare e raccontare con la sua garbata ironia, ancora adesso amici e conoscenti si riuniscono al Centro incisioni d'arte, al 46 dell'alzaia. Serate indimenticabili. «Ne sono venute qui, - dietro Cascina Cafè) di personalità! Una volta anche Riccardo Bacchelli».

Tra i crucci di Gigi Pedroli, la fuga di tanti dal dialetto. Non lo parla più nessuno. "I giovani lo snobbano, non lo capiscono neppure. Quando eravamo ragazzi noi, c'erano le bande di quartiere; e se qualcuno si permetteva di non esprimersi nella'lengua mader', lo picchiavamo addirittura. Eravamo orgogliosi del nostro dialetto, così dotato di lemmi e sfumature, così vivo, con mille termini onomatopeici". In compenso la "lengua milanesa" la parlano tanti meridionali, soprattutto pugliesi, forse nel tentativo di camuffarsi, forse per la soddisfazione di essere diventati concittadini del Porta.