La ricerca «Mille borghi cento città un paese»

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Così è nata dalla foresta la «bella Italia»
«E ora dobbiamo impegnarci a conservarla»


Un articolo tratto da Il Giorno (luglio 2008) di Andrea Fontana, che ci presenta un bellissimo libro.

IN PRINCIPIO c'era la foresta. Una foresta cupa, buia, estesa per centinaia di chilometri. Radici e sottobosco cieco, terreno brullo là dove oggi vediamo, tra campi e pioppi, innalzarsi duomi traforati da rosoni, stagliarsi mura e rivellini dei nostro bruno medioevo comunale, e farsi spazio spigolosi, umanistici palazzi scarpati, tassellati di marmo; dove cioè scorrono, come dal finestrino di un treno in corsa, la padania lombarda ed emiliana, l'impiglio dell'Appennino, e le città-fortezza in lotta lungo i saliscendi luminosi e antropizzati del Quattrocento marchigiano e toscano.

In principio invece c'era la foresta, che nulla c'entra con l'immaginario di chi oggi si strugge di nostalgia per una natura intonsa e perduta: era la foresta primigenia, infertile, nemica, popolata di fiere, confinante con terreni morti invasi dall'acqua. Tale era la Lombardia, nella quale novemila anni fa piantarono le prime palafitte gli abitanti neolitici fra Varese, Brescia e Bergamo. E tale era l'Emilia Romagna, coperta da una distesa di latifoglie che dal quinto millennio avanti Cristo cedette ad un'immane opera di disboscamento, durante la quale lo schianto delle selve aprì radure per i primi villaggi, i primi pascoli, i primi campi.

DI QUEL ZUPPO intrico di ramaglie e acquitrini che oggi chiamiamo Belpaese racconta, con efficace sintesi e ordinata ripartizione in aree geografiche nord, centro, sud, regione dopo regione, un volume curato per Poste Italiane da Vittorio Emiliani e Pino Coscetta: Mille borghi Cento città Un Paese (141 pagine, 15 euro), che si propone come un `Libro bianco sull'Italia delle origini'. Con il doppio scopo, spiega Emiliani, di mostrare quanto il nostro Paese sia il frutto di tante - e diverse sedimentazioni etniche ma anche come, ciononostante, «l'Italia sia stata da Dante in qua un Paese con una lingua e una cultura sue proprie, molti secoli prima della sua unificazione in un solo Stato».

Il record del primo insediamento umano nella penisola va a un comune forlivese, Castrocaro (nella foto), dove 800mila anni fa una piccola comunità del paleolitico si fermò a Monte Poggiolo. All'incirca 60mila anni dopo, altri uomini lasciarono tracce di sè presso Isernia, nel Molisano, ma si deve tornare in Emilia per trovare la prima forma di insediamento organizzato in senso abitativo, quello `villanoviano', dal nome del paese vicino a Bologna dove emersero i primi reperti archeologici. Da allora è stato tutto un via vai, dagli etruschi ai liguri e ai veneti; i celti in alta Lombardia e i senoni nelle Marche, e al centrosud gli umbri, i sanniti, gli osci, i piceni, i campani. Poi l'egemonia di Roma, e quindi i longobardi, eccetera. Fino ad arrivare a un Paese, l'Italia di oggi, che conta 8.101 Comuni, dei quali oltre la metà, 4.650, con meno di tremila abitanti.

E in questi mini-centri risiede ancora più del 10 per cento della popolazione italiana. Molti più dei Comuni, poi, sono i centri storici, oltre ventimila, e circa 29mila i centri abitati, contando frazioni e piccole località. «Ma viviamo un consumo di terra spropositato - avverte Emiliani -. I suoli a uso agricolo, a bosco, a prato, sono scesi dai 30 milioni di ettari del 1951 ai 19 milioni di oggi: un incremento del 37 per cento, mentre la popolazione è cresciuta del 15,5. Le campagne sono invase dal cemento, eppure le abitazioni anteriori al 1919 sono ancora il 18 per cento del totale, con quote più forti in Lombardia, Emilia, Veneto, Piemonte, Toscana, Campania. Un patrimonio abitativo su cui dovrebbe concentrarsi uno sforzo di restauro e recupero a fini residenziali. Il futuro delle città e dei borghi sta nel recupero architettonico». Prima che la foresta, un tempo tiranna e domata con millenaria fatica, alla fine scompaia del tutto.

 

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