Da rifugio di partigiani a covo della droga. Il tunnel dello Stasera sotto il Naviglio

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Murato il passaggio che collegava i lavatoi di via Barrili all’area dell’ospedale San Paolo
Quattro chilometri scavati per difendere la città, ora fortino degli spacciatori
L’articolo di Andrea Galli è stato pubblicato sul «Corriere della Sera» il 7 giugno 2009

Per sentire cronache di quei tempi, nel quartiere ci avevano indirizzato a due vecchi partigiani. Ma sono morti entrambi, da mesi, e ormai, allo Stadera, quei pochissimi che resistono lo devono alle badanti e non hanno nemmeno più la forza per raccontarlo. Al 9 di .a Palmieri c'è un lapide, una delle tante, in ricordo dei partigiani. La lapide non c'è, nel senso ne è rimasto un pezzetto appena. Se il resto sia in manutenzione o se invece l'abbiano rubato, nello stabile non lo sanno dire. Una signora, ciabattando, chiede: «A lei cosa le interessa?». Via Barrili è la parallela di via Palmieri. Le due strade formano i lati lunghi di un rettangolo di palazzi che contiene il cuore del quartiere. Un cuore che ogni tanto si ammala, e che altre volte tra tredicenni già gravide e bambini che già bestemmiano sembra sul punto di fermarsi per sempre. In fondo al 7 di via Barrili, dopo un cortile in attesa di ristrutturazione da due anni, sei gradini danno accesso a una stanzetta. All'interno, lavatoi riempiti da un computer rotto e una griglia arrugginita. Sotto i lavatoi partiva un tunnel che, passando sotto il Naviglio Pavese, conduceva dalle parti dell'ospedale San Paolo.

Quasi quattro chilometri di lunghezza, lungo una parete alta al massimo un metro e mezzo, e larga un metro. Le versioni più accreditate sostengono che il tunnel fosse stato inizialmente scavato dai tedeschi, i quali lo utilizzavano per spostarsi raggiungendo le postazioni della contraerea senza dover attraversare, alla luce delle bombe, i ponti. In un secondo tempo il tunnel fu conquistato dai partigiani, che lo ampliarono creando l'ingresso principale in via Barrili 7. Tra qui e il Naviglio dicono che il tunnel ancora sia com'era, intatto. Qualcheduno l'ha percorso, e ne ricorda il buio totale e le mandrie dei topi. Oggi, un sopralluogo non è possibile. L'imbocco del tunnel serviva a certi spacciatori per nasconderci la droga. E finita che la polizia li ha beccati e che i muratori hanno murato l'accesso all'oscurità. Picchiando i piedi sul pavimento si sente che sotto c'è il vuoto. Riaprire il tunnel? Nel cortile, non ce n'è uno che sappia della sua esistenza; men che meno lo sanno i cagnoni con i collari con borchie appuntite che ringhiano e sbavano, minacciosi. Sotto i lavatoi, raccontano, scavando scavando ancora si pesca della droga. Il posto non è nascosto, ed è perfino protetto da un cancello chiuso da un enorme lucchetto.

Negli anni Trenta, il regime fascista diede al quartiere il nome di Quartiere 28 Ottobre, giorno e del mese della marcia su Roma. I residenti rifiutarono e scelsero un nome loro: Baia del Re, in ricordo della base di partenza della fallimentare spedizione al Polo Nord di Umberto Nobile. Nel dopoguerra arrivò il nome definitivo, preso da una pesa pubblica e un'antica osteria. Allo Stadera ci sono puzza di piscio, negozi chiusi, mille muratori di mille ditte diverse – tutte in subappalto – che si sono avvicendati su palazzi, come di via Palmieri, mai finiti. Sempre in via Palmieri era diventata leggenda la resistenza di due famiglie di italiani che nonostante il palazzo fosse stato sgomberato di tutti gli altri inquilini e sventrato per essere ristrutturato, insistevano a rimanere nelle case (occupate). Nei parcheggi sono allinei con appesi allo specchietto retrovisore orsi, leoni e cammelli di pelouche, vagonate di pelouche.

Dall'altra parte del Naviglio, San Paolo, raccontano che il tunnel è a mano a mano venuto meno negli anni: mangiato da scavi, costruzioni varie, box sotterranei. Da questa parte del Naviglio, all'inizio di via Palmieri, al primo piano ci sono tre finestre con dei disegnini. Le tre finestre in un asilo nido gestito dall'Arci.
Sara, gentilissima, è una delle due educatrici. In braccio tiene uno strepitoso (per la bellezza) figlio di una sudamericana e di un iraniano. Sara dice: »Come mi sembra lo Stadera? Abito fuori Milano, mi alzo alle cinque e mezza. Ci arrivano molte richieste. Possiamo accoglierne solo sei. La struttura è quella che è. Ma noi teniamo duro lo stesso, non molliamo».