Il Maestro a San Cristoforo di Milano

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"Il fiume Olona e i Navigli"

Il 1508 vede la fine (positiva per lui) del contenzioso tra Leonardo e i suoi fratelli. E il maestro si prepara a ripartire per il Nord mandando in avanscoperta Salaì

Nei primi mesi del 1508 Leonardo è ancora a Firenze. Il suo rientro a Milano, ove s'era messo al servizio dei francesi, era stato bruscamente interrotto da una questione privata, una causa intentata contro di lui dai fratellastri per un'eredità ricevuta da uno zio paterno. Quindi, suo malgrado, Leonardo ha dovuto fare ritorno a Firenze.

Vi era certamente una preoccupazione di tipo strettamente finanziario. Come vedremo, in questo stesso periodo il desiderio di Leonardo di garantirsi una fonte di guadagno sicura, ma capace allo stesso tempo di non rubare troppo tempo ai suoi mille interessi - che già da giovane lo aveva spinto a trasferirsi a Milano -, è un problema tutt'altro che assente.

Da queste stesse lettere apprendiamo che Leonardo, risolta la questione familiare, non pensa ad altro che a lasciare Firenze per far ritorno a Milano. Una di queste missive è quasi certamente indirizzata al governatore di Milano, Charles d'Amboise. Ci è pervenuta in due varianti. La prima è contenuta nel foglio 872r del Codice Atlantico. È vergata in una grafia molto regolare, con poche abbreviazioni. Non si tratta certamente di un esemplare che Leonardo intendeva inviare, scritta com'è nel consueto verso da destra a sinistra. Era una minuta, eventualmente da ricopiare o, come accadde, da modificare. Leonardo inizia accennando al fatto che, sebbene abbia inviato più lettere al potente governatore di Milano, non ha mai ricevuto risposta. Questo, scrive, lo ha indotto a sospettare di essersi comportato male, insomma di non essere riuscito a ripagare i tanti benefici concessi a lui dall'Amboise con opere degne. Visto che non era arrivata risposta, ha così deciso di inviare direttamente il suo allievo Salaì, che, come anche in altri casi, sembra il principale responsabile delle public relations della bottega del maestro. Salaì, consegnando la lettera a mano, raccoglierà dalla viva voce la risposta. Leonardo annuncia al governatore che la lite con i fratelli è ormai quasi conclusa e che pensa di rientrare a Milano per Pasqua. Con abile mossa aggiunge, prima di passare a sciorinare una serie di richieste, che porterà con sé «due quadri di due Nostre Donne di varie grandezze, le quali son fatte pel cristianissimo nostro re o per chi a vostra signoria piacerà ».

Due quadri di Madonne, per il re Luigi XII o per chi desidererà l'Amboise.
Vista la rarità con cui Leonardo ormai si spende in simili dipinti, la cosa doveva predisporre nel migliore dei modi il destinatario della lettera. A lui infatti Leonardo passa a chiedere alcuni favori. Anzitutto si preoccupa di procurarsi una sistemazione per quando sarà a Milano. Fino a quel momento, nel suo precedente soggiorno, aveva dimorato presso il palazzo dell'Amboise. Ora, scrive Leonardo, «non vorrei dare più noia a vostra signoria»; tuttavia chiede a lui una eventuale diversa sistemazione.

Quindi passa a trattare di una faccenda che gli sta molto a cuore, per motivi economici: una rendita di 11 once d'acqua del Naviglio milanese di San Cristofano, che gli è stata donata tempo prima dal re Luigi XII. Leonardo avverte l'Amboise di essersi rivolto al 'presidente' (cioè, come vedremo, a un sovrintendente al demanio delle acque) per vedere finalmente confermato questo dono. Leonardo prega l'Amboise di interessarsi della faccenda e gli promette che, una volta entrato in possesso dell'acqua, saprà ripagarlo con «strumenti e cose che saran di gran piacere al nostro cristianissimo re», cioè con giochi o strumenti d'acqua destinati a incantare la corte francese. La lettera si conclude quindi con un laconico: «Altro non m'accade. Sono sempre a vostri comandi».

Questa lettera venne parzialmente modificata, come attesta il foglio 1037v del Codice Atlantico. Tra le piccole modifiche va rilevata quella concernente i due quadri di Madonne, che, più prudentemente, Leonardo dice di aver solo «cominciato». In questo stesso foglio troviamo l'abbozzo per un'altra lettera, vergata sempre in questi giorni, in cui prepara il tanto sospirato rientro a Milano. In questo caso il destinatario è il 'presidente' cui allude nell'altra missiva. Si tratta quasi certamente di Geoffroy Carles o Carle, altro eminente personaggio della corte francese, il quale, tra l'altro, ricopriva un importante incarico relativo al controllo delle acque dei Navigli.
Era però anche un amante della pittura, della musica e della cultura. Con lui Leonardo è più preciso e va subito al sodo. La questione è quella dell'acqua del Naviglio di San Cristofano, che, donatagli dal re, non ha potuto utilizzare per via di una siccità che ha determinato la chiusura del Naviglio. Leonardo dice di aver più volte scritto a lui e a un messer Girolamo da Cusano. Era questi un altro esponente del Senato milanese. A queste lettere non era mai seguita una risposta. Sicché anche in questo caso egli ha deciso di inviare di persona Salaì: «Ora io mando costì Salaì mio discepolo apportatore di questa [lettera], al quale vostra signoria potrà dire a bocca tutto quel che seguitò».

La pittura come attività secondaria?
Anche a questo potente personaggio, date le sue propensioni artistiche, Leonardo scrive di aver cominciato due quadri di Madonne, precisando di averle realizzate «nei tempi che mi son avanzati», cioè nei ritagli di tempo tra ricerche scientifiche e questioni legali. La pittura, come sembra confermare l'inciso di questa missiva, è per Leonardo un'attività quasi secondaria rispetto ai suoi interessi scientifici. In nessuna delle due lettere compare una data. È tuttavia possibile datare le lettere al soggiorno fiorentino del 1508, perché siamo in possesso di testimonianze storiche relative alla siccità di cui Leonardo parla. Nella Cronaca Milanese, composta da Maestro Giovanni Ambrogio da Paullo si fa infatti menzione di un inverno estremamente asciutto, quello del 1507. Il cronista scrive che nel mese di gennaio "mai né fioccò né piovette" e riporta un dato di sconcertante attualità, cioè l'accumulo di polvere, alta sul terreno come se fosse estate, tanto che era possibile "andare de l'una villa a l'altra in calze solate sanza bruttarse lipiedi".

Per fortuna non si trattava delle micidiali polveri sottili dei nostri giorni, e il racconto si conclude infatti con un sereno "et era si dolze tempo, che proprio pareva de primavera". Da un altro cronista cremonese, apprendiamo che l'anno successivo, il 1508, in maggio, piovve molto. Il che forse giovò a Leonardo nell'ottenere finalmente il tanto sospirato dono ricevuto dal re.