Il teatro meatafisico di Rocco Aliano

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Si racconta che quando Andy Warhol, negli anni Settanta, incontrò a Venezia Giorgio de Chirico, gli disse: «Maestro, mi pare che noi due abbiamo qualcosa in comune». La risposta del pictor optimus fu di una sublime banalità ironica, tale da spiazzare il collega americano sul suo stesso terreno: «Sì, abbiamo tutti e due i capelli bianchi». Anche se non fosse vero, questo aneddoto serve a sottolineare un fatto certo, e cioè la grande stima che Warhol aveva di de Chirico, con cui sentiva di avere, per certi versi, una qualche affinità elettiva.

E, naturalmente, Warhol ha interpretato le piazze e gli interni metafisici, con tutti i loro oggetti e personaggi stranianti, come delle icone consolidate e massificate della storia dell'arte, che tutti conoscono, e dunque come elementi per eccellenza dell'iconografia pop. Ed è così che, nel 1982, ha realizzato alcune serie di quadri utilizzando le riproduzioni di opere, replicate moltissime volte dal maestro stesso, come delle piazze d'Italia ed "Ettore e Andromaca".

L'artista lucano, Rocco Alinao, ha voluto dare a questo teatro una concretezza più fisica, uscendo dalla virtualità dipinta, ma non fino alla effettica tridimensionalità. Nei suoi lavori viene costruita una particolare dimensione da bassorilievo piatto, fatta da strati di compensato ritagliato e incollati tra loro, in modo tale da creare una sorta di infraspazio minimo molto articolato che fa quasi galleggiare all'intenro della cornice-cassetta ogni elemento della composizione in modo indipendente rispetto agli altri, senza però rompere la coerenza complessiva della scena. Tutti i frammenti ritagliati dei quadri sono dipinti copiando abbastanza fedelmente quelli originali.