Il Lambro, il Po e la nostra stupidità

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La chiazza di gasolio va verso l'Adriatico e la Regione chiede lo stato d'emergenza. Pretendiamo il benessere a tutti i costi, ma se fossimo onesti dovremmo vergognarci, sostiene Ermanno Olmi in un articolo sul Corriere della Sera del 25 febbraio 2010.

 

Io le ho viste le papere che volavano a pelo d'acqua sul Lambro. Due anni fa. Facevo delle riprese nell'area industriale dismessa della Falck a Sesto San Giovanni, dove tutt'intorno ai capannoni si estende una vastissima zona lasciata libera alla spontaneità della vegetazione.

Tanto che, in pochi anni, lungo le sponde del Lambro si è formata una barriera di alberi così fitta e intricata, con cespugli e rovi impenetrabili che proteggono la quiete del piccolo fiume. Addirittura, in qualche slargo erboso, piccoli acquitrini riparati da canne (che si chiamano col nome buffo di Mazzasorda) sono rifugio sicuro di aironi e fenicotteri che vengono a sostare e qualcuno addirittura nidifica.

Un territorio, questo, dove solo alcuni anni fa i mastodonti dell'Industria, con la baldanza di portatori della modernità, prendevano possesso delle terre agricole e per diritto in nome del progresso assoggettavano la Natura al loro primato. Non è passato neanche un secolo e i colossali altiforni di fuoco e ferro giacciono spenti nel mortificante abbandono dell'inutilità. Ed è stata proprio questa decadenza che ha generato un nuovo evento, questa volta non più programmato dall'uomo ma dal suolo medesimo che senza più oppressioni, abbandonato a se stesso, ha silenziosamente ricomposto le sue ferite e trovato l'armonia delle sua condizione primigenia.

La frequentazione della troupe per le riprese del documentario aveva una certa regolarità, e così ogni volta andavo a spiare la famigliola di papere che abitavano le rive del Lambro. Notai che frequentavano soltanto un breve tratto del corso d'acqua, esclusivamente in un punto dove il fiume compie un'ansa piuttosto stretta, tanto che in soli pochi metri impedisce la vista da una parte all'altra. Pensai che questa dislocazione fosse una intuitiva strategia li difesa. Infatti, bastava un fruscio di passi sul sentiero che le papere, con pochi colpi d'ala erano già in volo e si mettevano al coperto nascondendosi alla vista degli importuni. Tuttavia, col tempo mi resi conto che la continuità delle nostre visite avevano modificato il loro comportamento. Un po' alla volta, da una visita all'altra, ritardavano di poco poco la loro fuga.

Esitavano sempre più incerte tra l'istinto, ma per una sorta di legame ancestrale con la Natura che ci ha generato in ogni forma di vita e che lascia sottintendere in tutte le creature il principio del «sentimento».

Ma per noi che pretendiamo il benessere a tutti i costi, sarebbe tempo che ci domandassimo quali sono i sentimenti che pratichiamo per dare significato alle nostre esistenze. Se fossimo davvero onesti con noi stessi, dovremmo fare un elenco di cui vergognarci. A cominciare da qualche innocua paperella che si godeva nella quiete del fiume il suo minuto spazio di sopravvivenza. Vederla nelle immagini della tv profanata dal liquido ributtante e mortifero del petrolio mi ha fatto sentire ancora una volta in colpa. Ormai è un'immagine emblematica ricorrente. Ho parlato soltanto di un piccolo frammento di questa tragica realtà. Ma che insieme a tante altre sparse nel mondo ci fanno intendere le dimensioni di una visione che potrebbe diventare apocalittica. Esagero? «La regione Lombardia chiede lo stato di calamità ». Ma è ora di dichiarare lo stato della nostra stupidità.